Anna Maria Terracini nasce ad Algeri dove i suoi genitori si erano rifugiati dopo aver lasciato l’Italia nel 1938 per sfuggire alle Leggi razziali.
Il padre Enrico, Console Italiano si è interamente devoluto alla causa degli emigranti, pervaso di un grande senso del dovere tendeva ad eclissare la famiglia. La madre Jeanne Scebat, scrittrice e traduttrice, era la dolcezza in persona ed era molto comprensiva, anche Lei si interessava alla gente sfortunata. Entrambi i genitori appartenevano a famiglie di commercianti Ebrei e quindi con la consapevolezza di essere perseguitati, la consapevolezza di appartenere ad una minoranza produce in lei una grave ferita.
La sua esistenza si presenta sotto il segno dei viaggi, dei cambiamenti di paesi, delle separazioni e delle instabilità. I continui viaggi la portano a frequentare diverse scuole, con l’impossibilità di stringere amicizia con altri bambini. Per sei anni vivrà in Svizzera nel Cantone dei Grigioni , nel 1952 il padre viene nominato Console a Dakar e il trasferimento nell’Africa nera per lei fu uno choc, si ritrova improvvisamente a passare da una vita piena di regole austere all’immersione in un Paese con un clima che mette alla prova la sua resistenza fisica e morale. Non sopportando il clima umido si trasferisce con la madre a Grasse in Francia, la separazione dal padre fu un nuovo sforzo di adattamento. I continui cambiamenti le scuole, lingue diverse, abitudini diverse la portano ad essere sempre in bilico tra sentimenti opposti.
Proprio questi sentimenti contrastanti la portano a dipingere, la pittura le procurerà momenti di pace interiore e i calma ma fatalmente la porterà all’isolamento e scatenerà in lei delle guerre interiori, dei combattimenti, dei lutti che faranno rinascere in lei il desiderio di dipingere.
Sarà la visita alla Biennale di Venezia del 1954 a decidere definitivamente la sua vocazione di pittrice, attirata soprattutto dalle composizioni astratte, si trattava per lei di reminiscenze essenziali che avevano la loro organizzazione in forma figurativa.
La strana magia dell’irreale, la speranza di rivelare l’invisibile, dove la gente diceva quello non assomiglia a niente Anna Maria capiva che un oggetto o la natura pazientemente scomposta poteva diventare, grazie ai colori, alla loro disposizione non una semplice forma ma il confronto con la pittura pura e alle innumerevoli possibilità che questa suggeriva.
Denis Lavalle, scrittore e critico d’arte francese, scrive di lei che non ha mai smesso di interrogarsi sulle linee primitive che si sprigionano da un paesaggio ed appare ugualmente nella sua opera un altro pensiero altrettanto ricco ed interessante, la pittura di forma create da noi stessi ma che noi componiamo in gruppo umano.